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Documento magisteriale: il testo fa parte dei documenti con i quali la Chiesa custodisce e tramanda il suo insegnamento fondato sul depositum fidei

11 Febbraio 1984

Lettera apostolica

Il Libro di Giobbe pone in modo acuto il «perché» della sofferenza, mostra pure che essa colpisce l’innocente, ma non dà ancora la soluzione al problema.
Già nell’Antico Testamento notiamo un orientamento che tende a superare il concetto, secondo cui la sofferenza ha senso unicamente come punizione del peccato, in quanto si sottolinea nello stesso tempo il valore educativo della pena sofferenza. Così dunque, nelle sofferenze inflitte da Dio al popolo eletto è racchiuso un invito della sua misericordia, la quale corregge per condurre alla conversione: «Questi castighi non vengono per la distruzione, ma per la correzione del nostro popolo»26.
Così si afferma la dimensione personale della pena. Secondo tale dimensione, la pena ha senso non soltanto perché serve a ripagare lo stesso male oggettivo della trasgressione con un altro male, ma prima di tutto perché essa crea la possibilità di ricostruire il bene nello stesso soggetto sofferente.
Questo è un aspetto estremamente importante della sofferenza. Esso è profondamente radicato nell’intera Rivelazione dell’Antica e, soprattutto, della Nuova Alleanza. La sofferenza deve servire alla conversione, cioè alla ricostruzione del bene nel soggetto, che può riconoscere la misericordia divina in questa chiamata alla penitenza. La penitenza ha come scopo di superare il male, che sotto diverse forme è latente nell’uomo, e di consolidare il bene sia in lui stesso, sia nei rapporti con gli altri e, soprattutto, con Dio.

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Capitolo III -> 12

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Sofferenza
Castigo
Penitenza