Pronunciamento non magisteriale
discorso
La palestra dove allenarsi a essere uomini del perdono è il seminario prima e il presbiterio poi. Per i consacrati è la comunità. Tutti sappiamo che non è facile perdonarci fra noi: “Me l’hai fatta? Me la pagherai!”. Ma non solo nella mafia, anche nelle nostre comunità e nei nostri presbiteri, è così. Nel presbiterio e nella comunità va alimentato il desiderio di unire, secondo Dio; non di dividere secondo il diavolo. Mettiamoci questo bene in testa. Quando c’è divisione c’è il diavolo, lui è il grande accusatore, quello che accusa per dividere, divide tutto! Lì, nel presbiterio e nella comunità, vanno accettati i fratelli e le sorelle, lì il Signore chiama ogni giorno a lavorare per superare le divergenze. E questo è parte costitutiva dell’essere preti e consacrati. Non è un accidente, appartiene alla sostanza. Mettere zizzania, provocare divisioni, sparlare, chiacchierare non sono “peccatucci che tutti fanno”, no: è negare la nostra identità di sacerdoti, uomini del perdono, e di consacrati, uomini di comunione. Sempre va distinto l’errore da chi lo commette, sempre vanno amati e attesi il fratello e la sorella. Pensiamo a don Pino, che verso tutti era disponibile e tutti attendeva con cuore aperto, pure i malviventi.
Prete uomo del dono e del perdono, ecco come coniugare nella vita il verbo celebrare. Tu puoi celebrare la Messa ogni giorno e poi essere un uomo di divisione, di chiacchiericcio, di gelosia, anche un “criminale” perché ammazzi il fratello con la lingua. E queste non sono parole mie, questo lo dice l’apostolo Giacomo. Leggete la lettera di Giacomo. Anche le comunità religiose possono ascoltare Messa tutti i giorni, andare a comunicarsi, ma con l’odio nel cuore verso il fratello e la sorella. Il sacerdote è uomo di Dio 24 ore su 24, non uomo del sacro quando indossa i paramenti. La liturgia sia per voi vita, non rimanga rito. Per questo è fondamentale pregare Colui di cui parliamo, nutrirci della Parola che predichiamo, adorare il Pane che consacriamo, e farlo ogni giorno. Preghiera, Parola, Pane; padre Pino Puglisi, detto “3P”, ci aiuti a ricordare queste tre “P” essenziali per ciascun prete ogni giorno, essenziali per tutti i consacrati e consacrate ogni giorno: preghiera, Parola, Pane.
Uomo del perdono, sacerdote che dà il perdono, cioè uomo di misericordia e questo specialmente nel confessionale, nel sacramento della Riconciliazione. E’ tanto brutto quando nella Confessione il sacerdote incomincia a scavare, a scavare nell’anima dell’altro: “E come è stato, e come fai…”. Questo è un uomo che ammala! Tu sei lì per perdonare in nome dell’unico Padre che perdona, non per misurare fino a dove posso, fino a dove non posso… Credo che su questo punto della Confessione dobbiamo convertirci tanto: ricevere i penitenti con misericordia, senza scavare l’anima, senza fare della Confessione una visita psichiatrica, senza fare della Confessione un’indagine da detective per indagare. Perdono, cuore grande, misericordia. L’altro giorno un Cardinale molto severo, direi anche conservatore – perché oggi si dice: questo è conservatore, questo è aperto – un Cardinale così mi diceva: “Se uno viene al Padre, perché io sono lì a nome di Gesù e del Padre Eterno, e dice: Perdonami, perdonami, ho fatto questo, questo, questo…; e io sento che secondo le regole non dovrei perdonare, ma quale padre non dà il perdono al figlio che lo chiede con lacrime e disperazione?”. Poi, una volta perdonato, gli si consiglierà: “Dovrai fare questo…”; oppure: “Devo fare questo, e lo farò per te”. Quando il figlio prodigo è arrivato col discorso preparato davanti al padre e ha incominciato a dire: “Padre, ho peccato!…”, il padre lo ha abbracciato, non lo ha lasciato parlare, gli ha dato subito il perdono. E quando l’altro figlio non voleva entrare, il padre è uscito a dare anche a lui questa fiducia di perdono, di filiazione. Questo per me è molto importante per guarire la nostra Chiesa tanto ferita che sembra un ospedale da campo.
Da ultimo, sempre sul celebrare, vorrei dire qualcosa sulla pietà popolare, molto diffusa in queste terre. Un Vescovo mi diceva che nella sua diocesi non so quante confraternite ci sono e mi diceva: “Io vado sempre da loro, non li lascio da soli, li accompagno”. È un tesoro che va apprezzato e custodito, perché ha in sé una forza evangelizzatrice (cfr Evangelii gaudium, 122-126), ma sempre il protagonista deve essere lo Spirito Santo. Vi chiedo perciò di vigilare attentamente, affinché la religiosità popolare non venga strumentalizzata dalla presenza mafiosa, perché allora, anziché essere mezzo di affettuosa adorazione, diventa veicolo di corrotta ostentazione. Lo abbiamo visto nei giornali, quando la Madonna si ferma e fa l’inchino davanti alla casa del capo-mafia; no, questo non va, non va assolutamente! Sulla pietà popolare abbiate cura, aiutate, siate presenti. Un Vescovo italiano mi ha detto questo: “La pietà popolare è il sistema immunitario della Chiesa”, è il sistema immunitario della Chiesa. Quando la Chiesa incomincia a farsi troppo ideologica, troppo gnostica o troppo pelagiana, la pietà popolare la corregge, la difende.