
di Giacomo Gambassi
Il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, aveva annunciato un «presidio a Gaza» sotto le bombe nella sua introduzione ai lavori del Consiglio permanente che la scorsa settimana si era riunito a Gorizia lungo il confine fra Italia e Slovenia. Il presidio ha adesso una fisionomia. «Stiamo lavorando con il patriarcato latino di Gerusalemme a un grande progetto per l’apertura di un ospedale dentro Gaza», ha annunciato da Gerusalemme il segretario generale della Cei, l’arcivescovo Giuseppe Baturi. Quattro giorni, da sabato scorso a ieri, in Terra Santa per una «visita fraterna che ha voluto comunicare alla Chiesa guidata dal cardinale Pierbattista Pizzaballa la solidarietà e la fraternità delle Chiese che sono in Italia», ha spiegato Baturi a conclusione del viaggio.
«Giornate di condivisione che sono state molto utili», le ha definite Pizzaballa. E giornate che hanno mostrato come «la fede, la denuncia e la speranza» testimoniate da Baturi a nome della Chiesa italiana in mezzo a una guerra ancora senza sbocchi si passano tradurre «anche in aiuto concreto», ha sottolineato l’arcivescovo. Aiuti che la Cei fa giungere da anni ma che ha scelto di rafforzare nell’ultimo periodo per far sentire la sua vicinanza a chi vive l’orrore di un conflitto e per incoraggiare l’impegno della comunità cattolica che è in prima linea anche nella Striscia. «C’è un problema sanitario molto serio e vogliamo farcene carico insieme al patriarcato – ha detto il segretario generale della Cei riferendosi all’emergenza umanitaria a Gaza –: è un impegno concreto che vedrà mobilitate tante energie». Una prossimità che guarda con particolare attenzione ai cristiani di Terra Santa. «Vogliamo sostenere – ha aggiunto Baturi – le famiglie e i parroci che ci hanno segnalato bisogni alimentari ma anche di lavoro per i giovani, di case e di istruzione. Questa è energia di pace perché forma la coscienza e apre al futuro. Intendiamo essere con queste comunità, con questa Chiesa, in un’amicizia di fede e di operatività».
Dal cardinale Pizzaballa è arrivato «un sincero ringraziamento » alla Cei. «In questo momento difficile di solitudine e di abbandono, sono importanti la vicinanza e la presenza – ha ricordato il patriarca latino di Gerusalemme –. Sappiamo che non sono visite scontate e sappiamo che tutto questo è vero e sentito. Lo abbiamo percepito in questi mesi da parte di tante Chiese italiane: una vicinanza reale».
Le giornate di Baturi in Terra Santa, che sono state scandite da vari incontri, sono uno dei “frutti” dell’ultima sessione del Consiglio permanente da cui è uscito l’appello-denuncia su Gaza che il presule ha ricordato citando le parole del documento: «È necessario che le ingiuste violenze si fermino, che siano liberati gli ostaggi e che cessino gli attacchi contro un popolo che non può essere punito in questo modo». E a Gerusalemme Baturi ha chiarito: «Vogliamo condividere nella fede la speranza di un mondo migliore, ma anche lo sdegno per una violenza ingiusta che calpesta la dignità dell’uomo». Il viaggio è stato l’occasione per progettare il pellegrinaggio di una delegazione dell’episcopato italiano, sulla scia di quanto già avvenuto con alcune Conferenze episcopali regionali che anche in tempo di guerra si sono recate in Terra Santa. «Ci proponiamo di rilanciare il pellegrinaggio come pratica capace di stringere legami con le comunità, non solo di visitare i luoghi – ha evidenziato Baturi –. È una richiesta che ci è venuta da tanti parroci, sia della Giudea sia della Galilea. Faremo dunque un pellegrinaggio come vescovi italiani e ne promuoveremo tanti altri: è una forma concreta di vicinanza e solidarietà».
Secondo il cardinale Pizzaballa, «la speranza ha bisogno di gesti, di parole, ma soprattutto di un approccio dove si fa rete, dove si costruisce unità e comunità. Nei grandi contesti di dolore e sofferenza serve avere qualcuno accanto che ti sostenga e ti aiuti. E tutto ciò diventa un segno di speranza».