Novità Aprile 25, 2025

Accanto ai malati con nuovo slancio

Una analisi del Direttore don Angelelli
25 Aprile 2025

La vita di un Pontefice segna la storia. Molti calcolano le epoche indicandole con il nome del Papa di quel tempo. Ma in realtà è vero anche il contrario, cioè che la storia, con i suoi sviluppi, incida molto sulla vita di un Pontefice. Alcuni eventi impattano così fortemente al punto di generare effetti profondi.

Mi viene in mente quanto il 13 maggio 1981 il papa san Giovanni Paolo II fu colpito da due proiettili. Aveva 61 anni e un fisico da sportivo. Conobbe dolore e sofferenza, l’ospedale e il rischio di morire, la vulnerabilità di un corpo non più sano con il desiderio di ritornare in piena salute. Quella esperienza incise su di lui e sul suo ministero. Di lì a poco veniva pubblicata la Salvifici doloris (1984), poi a un anno di distanza con Dolentium hominum nasce la Pontificia Commissione per la Pastorale degli operatori sanitari (1985), cui seguì la creazione della Giornata mondiale del Malato (1992).

Nel percorso umano e ministeriale di papa Francesco mi sembra di poter individuare un cambiamento analogo che lo ha segnato profondamente: l’esperienza della pandemia ha travolto il mondo nella sua globalità e il Pontefice non poteva rimanerne estraneo. Assistere alla veloce e inarrestabile diffusione del virus in tutto il mondo, al duro computo quotidiano dei contagiati e delle vittime era una esperienza nuova per tutti. La prima pandemia vissuta dal vivo e totalmente globale ha rimesso al centro dell’esperienza umana l’idea di fragilità, il limite di una scienza della ricerca e della cura che ha ancora molto da sviluppare ma, soprattutto, una domanda di senso che è sorta dalla paura e dal disorientamento di uomini e donne che mancavano di punti di riferimento.

In uno straordinario gesto evocativo, papa Francesco ha raccolto le sue forze e le speranze dell’umanità e, solo, se ne è fatto carico nel salire quei gradini verso un Crocifisso che sembrava aspettarlo per accoglierlo. La piazza San Pietro, vuota e silenziosa, era popolata dallo sbigottimento del mondo. Lungi dal voler dare una risposta, da credente e pastore, l’ha preso su di sé e, salendo i gradini del nostro Calvario, lo ha posto ai piedi di Colui che poteva raccoglierlo e trasformarlo in abbraccio misericordioso, paterno e consolante. Tutti abbiamo indelebile nella mente quella immagine perché tutti abbiamo salito quei gradini con lui, tutti ci siamo sentiti meno soli e accompagnati nel nostro patire.

Da quella testimonianza ha trovato nuovo vigore la spinta missionaria della Chiesa nei luoghi della sofferenza, oltre a una maggiore vicinanza alla sofferenza dei curanti, di coloro che ogni giorno si fanno carico dei bisogni di salute altrui.

La pastorale della salute ha aperto nuovi spazi di confronto e incontro, a livello nazionale ed europeo, con i protagonisti della cura, così come sono nati cantieri di ascolto per le associazioni di advocacy; i tanti focus sulle criticità emergenti come la salute mentale, le cure nel fine vita terrena, le paure degli adolescenti che possono trasformarsi in patologie; lo studio dei modelli di sanità di fronte alle crescenti e terribili povertà sanitarie che impediscono alle persone di curarsi, per combattere quella cultura dello scarto tante volte richiamata; nuovi modelli di pastorale della vita nascente, così come il desiderio che nessuno resti solo. Un Magistero da rileggere e approfondire.

Restano nel cuore le parole pronunciate all’udienza concessa ai sanitari il 22 novembre dello scorso anno: «Il primo aspetto è quello del prendersi cura di chi cura. È infatti importante non dimenticare che voi sanitari siete persone altrettanto bisognose di sostegno quanto i fratelli e le sorelle che curate. […] Il secondo aspetto che vorrei sottolineare è la compassione per gli ultimi. Infatti se nessuno è così autosufficiente da non avere bisogno di cure, ne consegue che nessuno può essere emarginato al punto da non poter essere curato».

Grazie Santo Padre.

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