
Stare accanto, con le parole e con il silenzio, stare accanto semplicemente, che vuol dire confortare con quel “io ci sono, vedo la tua sofferenza”. Non ci sono manuali già scritti per ogni occasione, né contesti prestabiliti per raccontare questa «tappa del viaggio», come la definisce il segretario generale della Cei monsignor Giuseppe Baturi intervenendo ieri all’ultima giornata del Convegno nazionale di Pastorale della Salute “Con i sofferenti pellegrini di speranza”, organizzato a Roma dall’Ufficio Cei per la Pastorale della salute. «La speranza è attesa, desiderio, bisogno, senza i quali anche la consolazione è riduttiva», ricorda l’arcivescovo di Cagliari, che invita a leggere il momento della malattia e della difficoltà come «una tappa di un tempo pasquale, un lungo esodo che guarda verso la pienezza della vita». La necessità oggi, prosegue, è «imparare a raccontare con più coraggio la speranza della sofferenza, magari facendo nostro il messaggio che li fa andare avanti anche nella malattia o nella disabilità». Tutto va inteso, sottolinea monsignor Baturi, come «attesa nella preghiera, come la posizione di chi si fida del dopo e di Dio». L’attesa nel dolore però tende a schiacciarsi nel presente, perciò compito di chi si fa prossimo è proprio quello di «provare a dargli valore, a proiettarlo verso il futuro, verso il desiderio di un oltre». Da qui la necessità di nutrire la speranza – è la conclusione del segretario generale – per «non disperare e non rassegnarsi, le due tentazioni cui non bisogna cedere».
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