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Documento magisteriale: il testo fa parte dei documenti con i quali la Chiesa custodisce e tramanda il suo insegnamento fondato sul depositum fidei

30 Dicembre 1988

Christifideles laici (nn. 38, 53, 54)

Su vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo

Venerare l’inviolabile diritto alla vita

38. Il riconoscimento effettivo della dignità personale di ogni essere umano esige il rispetto, la difesa e la promozione dei diritti della persona umana. Si tratta di diritti naturali, universali e inviolabili: nessuno, né il singolo, né il gruppo, né l’autorità, né lo Stato, li può modificare né tanto meno li può eliminare, perché tali diritti provengono da Dio stesso.

Ora l’inviolabilità della persona, riflesso dell’assoluta inviolabilità di Dio stesso, trova la sua prima e fondamentale espressione nell’inviolabilità della vita umana. E’ del tutto falso e illusorio il comune discorso, che peraltro giustamente viene fatto, sui diritti umani _ come ad esempio sul diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia e alla cultura _ se non si difende con la massima risolutezza il diritto alla vita, quale diritto primo e fontale, condizione per tutti gli altri diritti della persona.

La Chiesa non si è mai data per vinta di fronte a tutte le violazioni che il diritto alla vita, proprio di ogni essere umano, ha ricevuto e continua a ricevere sia dai singoli sia dalle stesse autorità. Titolare di tale diritto è l’essere umano in ogni fase del suo sviluppo, dal concepimento sino alla morte naturale; e in ogni sua condizione, sia essa di salute o di malattia, di perfezione o di handicap, di ricchezza o di miseria. Il Concilio Vaticano II proclama apertamente: «Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l’intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e, mentre guastano la civiltà umana, ancor più inquinano coloro che così si comportano, che non quelli che le subiscono; e ledono grandemente l’onore del Creatore»(137).

Ora se di tutti sono la missione e la responsabilità di riconoscere la dignità personale di ogni essere umano e di difenderne il diritto alla vita, alcuni fedeli laici vi sono chiamati ad un titolo particolare: tali sono i genitori, gli educatori, gli operatori della salute, e quanti detengono il potere economico e politico.

Nell’accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole o malata, la Chiesa vive oggi un momento fondamentale della sua missione, tanto più necessaria quanto più dominante si è fatta una «cultura di morte». Infatti «la Chiesa fermamente crede che la vita umana, anche se debole e sofferente, è sempre uno splendido dono del Dio della bontà. Contro il pessimismo e l’egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel “Sì”, di quell’ “Amen”, che è Cristo stesso (cf. 2 Cor 1, 19; Ap 3, 14). Al “no” che invade e affligge il mondo, contrappone questo vivente “Sì”, difendendo in tal modo l’uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita»(138). Tocca ai fedeli laici, che più direttamente o per vocazione o per professione sono coinvolti nell’accoglienza della vita, rendere concreto ed efficace il «sì» della Chiesa alla vita umana.

Sulle frontiere della vita umana possibilità e responsabilità nuove si sono oggi spalancate con l’enorme sviluppo delle scienze biologiche e mediche, unitamente al sorprendente potere tecnologico: l’uomo, infatti, è in grado oggi non solo di «osservare», ma anche di «manipolare» la vita umana nello stesso suo inizio e nei suoi primi stadi di sviluppo.

La coscienza morale dell’umanità non può rimanere estranea o indifferente di fronte ai passi giganteschi compiuti da una potenza tecnologica che acquista un dominio sempre più vasto e profondo sui dinamismi che presiedono alla procreazione e alle prime fasi dello sviluppo della vita umana. Forse non mai come oggi e in questo campo la sapienza si dimostra l’unica àncora di salvezza, perché l’uomo nella ricerca scientifica e in quella applicata possa agire sempre con intelligenza e con amore, ossia rispettando, anzi venerando l’inviolabile dignità personale di ogni essere umano, sin dal primo istante della sua esistenza. Ciò avviene quando con mezzi leciti, la scienza e la tecnica si impegnano nella difesa della vita e nella cura della malattia sin dagli inizi, rifiutando invece _ per la dignità stessa della ricerca _ interventi che risultano alterativi del patrimonio genetico dell’individuo e della generazione umana(139).

I fedeli laici, a vario titolo e a diverso livello impegnati nella scienza e nella tecnica, come pure nell’ambito medico, sociale, legislativo ed economico devono coraggiosamente accettare le «sfide» poste dai nuovi problemi della bioetica. Come hanno detto i Padri sinodali, «i cristiani debbono esercitare la loro responsabilità come padroni della scienza e della tecnologia, non come servi di essa (…). Nella prospettiva di quelle «sfide» morali, che stanno per essere provocate dalla nuova e immensa potenza tecnologica e che mettono in pericolo non solo i diritti fondamentali degli uomini, ma la stessa essenza biologica della specie umana, è della massima importanza che i laici cristiani _ con l’aiuto di tutta la Chiesa _ si prendano a carico di richiamare la cultura ai principi di un autentico umanesimo, affinché la promozione e la difesa dei diritti dell’uomo possano trovare fondamento dinamico e sicuro nella stessa sua essenza, quella essenza che la predicazione evangelica ha rivelato agli uomini»(140).

Urge oggi, da parte di tutti, la massima vigilanza di fronte al fenomeno della concentrazione del potere, e in primo luogo di quello tecnologico. Tale concentrazione, infatti, tende a manipolare non solo l’essenza biologica ma anche i contenuti della stessa coscienza degli uomini e i loro modelli di vita, aggravando in tal modo la discriminazione e l’emarginazione di interi popoli.

Malati e sofferenti

53. L’uomo è chiamato alla gioia ma fa quotidiana esperienza di tantissime forme di sofferenza e di dolore. Agli uomini e alle donne colpiti dalle più varie forme di sofferenza e di dolore i Padri sinodali si sono rivolti nel loro finale Messaggio con queste parole: «Voi abbandonati ed emarginati dalla nostra società consumistica; voi malati, handicappati, poveri, affamati, emigranti, profughi, prigionieri, disoccupati, anziani, bambini abbandonati e persone sole; voi, vittime della guerra e di ogni violenza emananti dalla nostra società permissiva. La Chiesa partecipa alla vostra sofferenza conducente al Signore, che vi associa alla sua Passione redentrice e vi fa vivere alla luce della sua Redenzione. Contiamo su di voi per insegnare al mondo intero che cosa è l’amore. Faremo tutto il possibile perché troviate il posto di cui avete diritto nella società e nella Chiesa»(198).

Nel contesto di un mondo sconfinato come quello della sofferenza umana, rivolgiamo ora l’attenzione a quanti sono colpiti dalla malattia nelle sue diverse forme: i malati, infatti, sono l’espressione più frequente e più comune del soffrire umano.

A tutti e a ciascuno è rivolto l’appello del Signore: anche i malati sono mandati come operai nella sua vigna. Il peso, che affatica le membra del corpo e scuote la serenità dell’anima, lungi dal distoglierli dal lavorare nella vigna, li chiama a vivere la loro vocazione umana e cristiana ed a partecipare alla crescita del Regno di Dio in modalità nuove, anche più preziose. Le parole dell’apostolo Paolo devono divenire il loro programma e, prima ancora, sono luce che fa splendere ai loro occhi il significato di grazia della loro stessa situazione: «Completo quello che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne, in favore del suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1, 24). Proprio facendo questa scoperta, l’apostolo è approdato alla gioia: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi» (Col 1, 24). Similmente molti malati possono diventare portatori della «gioia dello Spirito Santo in molte tribolazioni» (1 Tess 1, 6) ed essere testimoni della Risurrezione di Gesù. Come ha espresso un handicappato nel suo intervento in aula sinodale, «è di grande importanza porre in luce il fatto che i cristiani che vivono in situazioni di malattia, di dolore e di vecchiaia, non sono invitati da Dio soltanto ad unire il proprio dolore con la Passione di Cristo, ma anche ad accogliere già ora in se stessi e a trasmettere agli altri la forza del rinnovamento e la gioia di Cristo risuscitato (cf. 2 Cor 4, 10-11; 1 Pt 4, 13; Rm 8, 18 ss.)»(199). Da parte sua _ come si legge nella Lettera Apostolica Salvifici doloris _ «la Chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella Croce di Cristo, è tenuta a cercare l’incontro con l’uomo in modo particolare sulla via della sofferenza. In un tale incontro l’uomo “diventa la via della Chiesa”, ed è, questa, una delle vie più importanti»(200). Ora l’uomo sofferente è via della Chiesa perché egli è, anzitutto, via di Cristo stesso, il buon Samaritano che «non passa oltre», ma «ne ha compassione, si fa vicino (…) gli fascia le ferite (…) si prende cura di lui» (Lc 10, 32-34).

La comunità cristiana ha ritrascritto, di secolo in secolo nell’immensa moltitudine delle persone malate e sofferenti, la parabola evangelica del buon Samaritano, rivelando e comunicando l’amore di guarigione e di consolazione di Gesù Cristo. Ciò è avvenuto mediante la testimonianza della vita religiosa consacrata al servizio degli ammalati e mediante l’infaticabile impegno di tutti gli operatori sanitari. Oggi, anche negli stessi ospedali e case di cura cattolici si fa sempre più numerosa, e talvolta anche totale ed esclusiva, la presenza dei fedeli laici, uomini e donne: proprio loro, medici, infermieri, altri operatori della salute, volontari, sono chiamati ad essere l’immagine viva di Cristo e della sua Chiesa nell’amore verso i malati e i sofferenti.

Azione pastorale rinnovata

54. E’ necessario che questa preziosissima eredità, che la Chiesa ha ricevuto da Gesù Cristo «medico di carne e di spirito»(201), non solo non venga mai meno, ma sia sempre più valorizzata e arricchita attraverso una ripresa e un rilancio deciso di un’azione pastorale per e con i malati e i sofferenti. Dev’essere un’azione capace di sostenere e di promuovere attenzione, vicinanza, presenza, ascolto, dialogo, condivisione e aiuto concreto verso l’uomo nei momenti nei quali, a causa della malattia e della sofferenza, sono messe a dura prova non solo la sua fiducia nella vita ma anche la sua stessa fede in Dio e nel suo amore di Padre. Questo rilancio pastorale ha la sua espressione più significativa nella celebrazione sacramentale con e per gli ammalati, come fortezza nel dolore e nella debolezza, come speranza nella disperazione, come luogo d’incontro e di festa.

Uno dei fondamentali obiettivi di questa rinnovata e intensificata azione pastorale, che non può non coinvolgere e in modo coordinato tutte le componenti della comunità ecclesiale, è di considerare il malato, il portatore di handicap, il sofferente non semplicemente come termine dell’amore e del servizio della Chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza. In questa prospettiva la Chiesa ha una buona novella da far risuonare all’interno di società e di culture che, avendo smarrito il senso del soffrire umano, «censurano» ogni discorso su tale dura realtà della vita. E la buona novella sta nell’annuncio che il soffrire può avere anche un significato positivo per l’uomo e per la stessa società, chiamato com’è a divenire una forma di partecipazione alla sofferenza salvifica di Cristo e alla sua gioia di risorto, e pertanto una forza di santificazione e di edificazione della Chiesa.

L’annuncio di questa buona novella diventa credibile allorquando non risuona semplicemente sulle labbra, ma passa attraverso la testimonianza della vita, sia di tutti coloro che curano con amore i malati, gli handicappati e i sofferenti, sia di questi stessi, resi sempre più coscienti e responsabili del loro posto e del loro compito nella Chiesa e per la Chiesa.

Di grande utilità perché «la civiltà dell’amore» possa fiorire e fruttificare nell’immenso mondo del dolore umano, potrà essere la rinnovata meditazione della Lettera Apostolica Salvifici doloris, di cui ricordiamo ora le righe conclusive: «Occorre pertanto, che sotto la Croce del Calvario idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo e, particolarmente, coloro che soffrono a causa della loro fede in lui Crocifisso e Risorto, affinché l’offerta delle loro sofferenze affretti il compimento della preghiera dello stesso Salvatore per l’unità di tutti (cf. Gv 17, 11. 21-22). Là pure convengano gli uomini di buona volontà, perché sulla Croce sta il “Redentore dell’uomo”, l’Uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell’amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi. Insieme con Maria, Madre di Cristo, che stava sotto la Croce (cf. Gv 19, 25), ci fermiamo accanto a tutte le croci dell’uomo d’oggi (…). E chiediamo a tutti voi, che soffrite, di sostenerci. Proprio a voi, che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di forza per la Chiesa e per l’umanità. Nel terribile combattimento tra le forze del bene e del male, di cui ci offre spettacolo il nostro mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la Croce di Cristo!»(202).

Giovanni Paolo PP. II