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Quando si dice che Cristo con la sua missione tocca il male alle sue stesse radici, noi abbiamo in mente non solo il male e la sofferenza definitiva, escatologica (perché l’uomo «non muoia, ma abbia la vita eterna»), ma anche – almeno indirettamente – il male e la sofferenza nella loro dimensione temporale storica. Il male, infatti, rimane legato al peccato e alla morte. E anche se con grande cautela si deve giudicare la sofferenza dell’uomo come conseguenza di peccati concreti (ciò indica proprio l’esempio del giusto Giobbe), tuttavia essa non può essere distaccata dal peccato delle origini, da ciò che in san Giovanni è chiamato «il peccato del mondo» 29, dallo sfondo peccaminoso delle azioni personali e dei processi sociali nella storia dell’uomo. Se non è lecito applicare qui il criterio ristretto della diretta dipendenza (come facevano i tre amici di Giobbe), tuttavia non si può neanche rinunciare al criterio che, alla base delle umane sofferenze, vi è un multiforme coinvolgimento nel peccato.