Documento magisteriale: il testo fa parte dei documenti con i quali la Chiesa custodisce e tramanda il suo insegnamento fondato sul depositum fidei
Dichiarazione
1. (Dignitas infinita) Una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere, spetta a ciascuna persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi. Questo principio, che è pienamente riconoscibile anche dalla sola ragione, si pone a fondamento del primato della persona umana e della tutela dei suoi diritti. La Chiesa, alla luce della Rivelazione, ribadisce e conferma in modo assoluto questa dignità ontologica della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio e redenta in Cristo Gesù. Da questa verità trae le ragioni del suo impegno a favore di coloro che sono più deboli e meno dotati di potere, insistendo sempre «sul primato della persona umana e sulla difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza».[2]
2. Di tale dignità ontologica e del valore unico ed eminente di ogni donna e di ogni uomo che esistono in questo mondo si è resa autorevole eco la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948) da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.[3] Nel fare memoria del 75° anniversario di questo Documento, la Chiesa vede l’occasione per proclamare nuovamente la propria convinzione che, creato da Dio e redento da Cristo, ogni essere umano deve essere riconosciuto e trattato con rispetto e con amore, proprio in ragione della sua inalienabile dignità. Il summenzionato anniversario offre alla Chiesa anche l’opportunità per chiarire alcuni equivoci che sorgono spesso a riguardo della dignità umana e per affrontare alcune gravi e urgenti questioni concrete ad essa collegate.
3. Fin dall’inizio della sua missione, sulla spinta del Vangelo, la Chiesa si è sforzata di affermare la libertà e di promuovere i diritti di tutti gli esseri umani.[4] Negli ultimi tempi, grazie alla voce dei Pontefici, ha inteso formulare più esplicitamente tale impegno attraverso il rinnovato appello per il riconoscimento della dignità fondamentale che spetta alla persona umana. San Paolo VI ebbe a dire che «nessuna antropologia eguaglia quella della Chiesa sulla persona umana, anche singolarmente considerata, circa la sua originalità, la sua dignità, la intangibilità e la ricchezza dei suoi diritti fondamentali, la sua sacralità, la sua educabilità, la sua aspirazione ad uno sviluppo completo, la sua immortalità».[5]
4. San Giovanni Paolo II, nel 1979, durante la Terza Conferenza Episcopale Latinoamericana a Puebla, affermò: «la dignità umana rappresenta un valore evangelico, che non può essere disprezzato senza grave offesa del Creatore. Questa dignità viene conculcata, a livello individuale, quando non sono tenuti nel dovuto conto valori come la libertà, il diritto di professare la religione, l’integrità fisica e psichica, il diritto ai beni essenziali, alla vita. È calpestata, a livello sociale e politico, quando l’uomo non può esercitare il suo diritto di partecipazione, o viene sottoposta ad ingiuste e illegittime coercizioni o a torture fisiche o psichiche, ecc. […] Se la Chiesa si rende presente nella difesa o nella promozione della dignità dell’uomo, lo fa in conformità con la sua missione, che, pur essendo di carattere religioso e non sociale o politico, non può fare a meno di considerare l’uomo nel suo essere integrale».[6]
5. Nel 2010, davanti alla Pontificia Accademia della Vita, Benedetto XVI ha affermato che la dignità della persona è «un principio fondamentale che la fede in Gesù Cristo Risorto ha da sempre difeso, soprattutto quando viene disatteso nei confronti dei soggetti più semplici e indifesi».[7] In altra occasione, parlando a degli economisti, ha detto che «l’economia e la finanza non esistono per se stesse, esse non sono altro che uno strumento, un mezzo. Il loro fine è unicamente la persona umana e la sua piena realizzazione nella dignità. È questo l’unico capitale che è opportuno salvare».[8]
6. Fin dagli inizi del suo pontificato, Papa Francesco ha invitato la Chiesa a «confessare un Padre che ama infinitamente ciascun essere umano» ed a «scoprire che “con ciò stesso gli conferisce una dignità infinita”»,[9] sottolineando con forza che tale immensa dignità rappresenta un dato originario da riconoscere con lealtà e da accogliere con gratitudine. Proprio su tale riconoscimento ed accoglienza è possibile fondare una nuova coesistenza fra gli esseri umani, che declini la socialità in un orizzonte di autentica fraternità: unicamente «riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere fra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità».[10] Secondo Papa Francesco «questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo»,[11] ma è pure una convinzione alla quale la ragione umana può arrivare attraverso la riflessione e il dialogo, dato che «se bisogna rispettare in ogni situazione la dignità degli altri, è perché noi non inventiamo o supponiamo tale dignità, ma perché c’è effettivamente in essi un valore superiore rispetto alle cose materiali e alle circostanze, che esige siano trattati in un altro modo. Che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale».[12] In verità, conclude Papa Francesco, «l’essere umano possiede la medesima dignità inviolabile in qualunque epoca storica e nessuno può sentirsi autorizzato dalle circostanze a negare questa convinzione o a non agire di conseguenza».[13] In tal orizzonte, la sua enciclica Fratelli tutti costituisce già una sorta di Magna Charta dei compiti odierni volti a salvaguardare e promuovere la dignità umana.
7. Sebbene ora esista un consenso piuttosto generale sull’importanza ed anche sulla portata normativa della dignità e del valore unico e trascendente di ogni essere umano,[14] l’espressione “dignità della persona umana” rischia sovente di prestarsi a molti significati e dunque a possibili equivoci[15] e «contraddizioni che inducono a chiederci se davvero l’eguale dignità di tutti gli esseri umani […] sia riconosciuta, rispettata, protetta e promossa in ogni circostanza».[16] Tutto questo ci porta a riconoscere la possibilità di una quadruplice distinzione del concetto di dignità: dignità ontologica, dignità morale, dignità sociale ed infine dignità esistenziale. Il senso più importante è quello legato alla dignità ontologica che compete alla persona in quanto tale per il solo fatto di esistere e di essere voluta, creata e amata da Dio. Questa dignità non può mai essere cancellata e resta valida al di là di ogni circostanza in cui i singoli possano venirsi a trovare. Quando si parla di dignità morale ci si riferisce, invece, all’esercizio della libertà da parte della creatura umana. Quest’ultima, pur dotata di coscienza, resta sempre aperta alla possibilità di agire contro di essa. Facendo così, l’essere umano si comporta in un modo che “non è degno” della sua natura di creatura amata da Dio e chiamata all’amore degli altri. Ma questa possibilità esiste. Non solo. La storia ci attesta che l’esercizio della libertà contro la legge dell’amore rivelata dal Vangelo può raggiungere vette incalcolabili di male inferto agli altri. Quando questo accade, ci si trova davanti a persone che sembrano aver perduto ogni traccia di umanità, ogni traccia di dignità. Al riguardo, la distinzione qui introdotta ci aiuta a discernere proprio tra l’aspetto della dignità morale che può essere di fatto “perduta” e l’aspetto della dignità ontologica che non può mai essere annullata. Ed è proprio in ragione di quest’ultima che si dovrà con tutte le forze lavorare perché tutti coloro che hanno compiuto il male possano ravvedersi e convertirsi.
8. Restano ancora altre due accezioni possibili di dignità: sociale ed esistenziale. Quando parliamo di dignità sociale ci riferiamo alle condizioni sotto le quali una persona si trova a vivere. Nella povertà estrema, per esempio, quando non si danno le condizioni minime perché una persona possa vivere secondo la sua dignità ontologica, si dice che la vita di quella persona così povera è una vita “indegna”. Quest’espressione non indica in alcun modo un giudizio verso la persona, piuttosto vuole evidenziare il fatto che la sua dignità inalienabile viene contradetta dalla situazione nella quale è costretta a vivere. L’ultima accezione è quella di dignità esistenziale. Sempre più spesso si parla oggi di una vita “degna” e di una vita “non degna”. E con tale indicazione ci si riferisce a situazioni proprio di tipo esistenziale: per esempio, al caso di una persona che, pur non mancando apparentemente di nulla di essenziale per vivere, per diverse ragioni fa fatica a vivere con pace, con gioia e con speranza. In altre situazioni è la presenza di malattie gravi, di contesti familiari violenti, di certe dipendenze patologiche e di altri disagi a spingere qualcuno a sperimentare la propria condizione di vita come “indegna” di fronte alla percezione di quella dignità ontologica che mai può essere oscurata. Le distinzioni qui introdotte, in ogni caso, non fanno altro che ricordare il valore inalienabile di quella dignità ontologica radicata nell’essere stesso della persona umana e che sussiste al di là di ogni circostanza.
9. Giova qui, infine, ricordare che la definizione classica della persona come «sostanza individuale di natura razionale»[17] esplicita il fondamento della sua dignità. Infatti, in quanto “sostanza individuale”, la persona gode della dignità ontologica (cioè a livello metafisico dell’essere stesso): essa è un soggetto che, ricevendo da Dio l’esistenza, “sussiste”, vale a dire esercita l’esistenza in modo autonomo. La parola “razionale” comprende in realtà tutte le capacità di un essere umano: sia quella di conoscere e comprendere che quella di volere, amare, scegliere, desiderare. Il termine “razionale” comprende poi anche tutte le capacità corporee intimamente collegate a quelle sopradette. L’espressione “natura” indica le condizioni proprie dell’essere umano che rendono possibili le varie operazioni ed esperienze che lo caratterizzano: la natura è il “principio dell’agire”. L’essere umano non crea la sua natura; la possiede come un dono ricevuto e può coltivare, sviluppare e arricchire le proprie capacità. Nell’esercitare la propria libertà per coltivare le ricchezze della propria natura, la persona umana si costruisce nel tempo. Anche se, a causa di vari limiti o condizioni, non è in grado di mettere in atto queste capacità, la persona sussiste sempre come “sostanza individuale” con tutta la sua inalienabile dignità. Questo si verifica, per esempio, in un bambino non ancora nato, in una persona priva di sensi, in un anziano in agonia.