Pronunciamento non magisteriale
Documento Dicasteriale
144. Servire la vita significa per l’operatore sanita- rio rispettarla ed assisterla fino al compimento L’uomo non è padrone ed arbitro della vita, ma fedele custode; la vita infatti è un dono di Dio, e quindi è inviolabile e indisponibile. Anche l’operatore sanitario non può ritenersi arbitro né della vita né della morte.
145. Quando le condizioni cliniche si deteriorano in modo irreversibile l’ammalato entra nella fase terminale della sua vita terrena, e vivere la malattia può farsi progressivamente precario e penoso. Al dolore fisico si aggiungono sofferenze psichiche e spirituali, che il distacco indotto dal processo del morire può comportare.
In questa fase della vita, un’assistenza integrale e rispettosa della persona deve favorire la dimensione propriamente umana e cristiana del morire come obiettivo fondamentale da perseguire. Questo accompagnamento verso la morte richiede compassione e professionalità da parte di operatori sanitari psicologicamente ed emotivamente competenti. Si tratta, infatti, di realizzare un accompagnamento assistenziale umano e cristiano, cui gli operatori professionali e pastorali sono chiamati a dare, secondo le proprie competenze e responsabilità, il loro contributo qualificato e doveroso. L’atteggiamento davanti al malato nella fase terminale della malattia costituisce la verifica della professionalità e delle responsabilità etiche degli operatori sanitari.269
146. Il processo del morire è un momento della vita della persona che, seppure non reversibile, merita sempre cura e assistenza. Gli operatori sanitari sono chiamati a interagire con gli operatori pastorali e i familiari per offrire alla persona nella fase terminale della vita quell’aiuto clinico, psicologico, spirituale che gli consentano, per quanto umanamente possibile, di accettare e di vivere la sua morte.
Quando le condizioni lo permettano, se richiesto direttamente o dai suoi familiari, si deve dare la possibilità al morente di ritornare nella propria casa o in un ambiente adeguato, aiutandolo a vivere l’esperienza ultima della sua vita, assicurando la necessaria assistenza sanitaria e pastorale.
Al malato nella fase terminale della sua malattia vanno somministrate tutte le cure, che gli consentano di alleviare la penosità del processo del morire. Queste corrispondono alle cosiddette cure palliative, che con una risposta assistenziale ai bisogni fisici, psicologici, spirituali tendono a realizzare una “presenza amorevole” intorno al morente e ai suoi familiari.270
Questa presenza attenta e premurosa infonde fiducia e speranza al morente e lo aiuta a vivere il momento della morte e può consentire ai suoi familiari ad accettare la morte del loro congiunto. È questo il contributo che operatori sanitari e pastorali devono offrire al morente e alla sua famiglia, perché al rifiuto subentri l’accettazione e sull’angoscia prevalga la speranza.
147. Al termine dell’esistenza terrena, l’uomo si trova posto di fronte al mistero: « Davanti al mistero della morte si rimane impotenti; vacillano le umane Ma è proprio di fronte a tale scacco che la fede cristiana … si propone come sorgente di serenità e di pace … ». 271 Ciò che sembra senza significato può acquistare senso.
Per il cristiano la morte non è un’avventura senza speranza, è la porta dell’esistenza che si spalanca sull’eternità, è esperienza di partecipazione al mistero di morte e di risurrezione di Cristo.272 In quest’ora decisiva della vita di una persona la testimonianza di fede e di speranza degli operatori sanitari e pastorali che lo assistono, può far intravedere al morente e ai suoi familiari la promessa di Dio di una terra nuova ove non ci sarà più né morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate (cfr. Ap 21, 4ss). « Al di sopra di tutti i conforti umani, nessuno può trascurare di vedere l’aiuto enorme dato ai morenti e alle loro famiglie dalla fede in Dio e dalla speranza in una vita eterna ».273
Realizzare una presenza di fede e di speranza è per operatori sanitari e pastorali la più alta forma di umanizzazione del morire.