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Morire con dignità

149. In fase terminale la dignità della persona si precisa come diritto a morire nella maggiore serenità possibile, e con la dignità umana e cristiana che gli è dovuta. 274 Tutelare la dignità del morire significa rispettare il malato nella fase finale della vita, escludendo sia di anticipare la morte (eutanasia),275 sia di dilazionarla con il cosiddetto “accanimento terapeutico”.276 Questo diritto è venuto emergendo alla coscienza esplicita dell’uomo d’oggi per proteggerlo, nel momento della morte, da « un tecnicismo che rischia di divenire abusivo ».277 La medicina odierna dispone, infatti, di mezzi in grado di ritardare artificialmente la morte, senza che il paziente riceva un reale beneficio.
150. Consapevole di non essere « né il signore della vita, né il conquistatore della morte », l’operatore sanitario, nella valutazione dei mezzi, « deve fare le opportune scelte ».278 Egli applica qui il principio già enunciato della proporzionalità delle cure, il quale viene così precisato: « Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi ».279 Perciò il medico non ha motivo di angustiarsi, quasi che non avesse prestato assistenza. La rinuncia a tali trattamenti, che procurerebbe- ro soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, può anche voler dire il rispetto della volontà del morente, espressa nelle dichiarazioni o direttive anticipate di trattamento, escluso ogni atto di natura eutanasica. Il paziente può esprimere in anticipo la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o no essere sottoposto nel caso in cui, nel decorso della sua malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o dissenso. « Le decisioni devono esser prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente ».280 Il medico non è comunque un mero esecutore, con- servando egli il diritto e il dovere di sottrarsi a volontà discordi dalla propria coscienza.

Legge civile e obiezione di coscienza

151. Nessun operatore sanitario, dunque, può farsi tutore esecutivo di un diritto inesistente, anche quando l’eutanasia fosse richiesta in piena coscienza dal soggetto interessato. Inoltre, « uno Stato che legittimasse tale richiesta e ne autorizzasse la realizzazione, si troverebbe a legalizzare un caso di suicidio-omicidio, contro i principi fondamentali dell’indisponibilità della vita e della tutela di ogni vita innocente »,281 ponendosi dunque « radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, [tali legalizzazioni] (d.r.) sono del tutto prive di autentica validità giuridica ».282 Simili legalizzazioni cessano di essere una vera legge civile, moralmente obbligante per la coscienza,283 sollevando piuttosto « un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante l’obiezione di coscienza ».284
Al riguardo, i principi generali circa la cooperazione ad azioni cattive sono così riaffermate: « I cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Infatti, dal punto di vista morale, non è mai lecito cooperare formalmente al male. Tale cooperazione si verifica quando l’azione compiuta, o per la sua stessa natura o per la configurazione che essa viene assumendo in un concreto contesto, si qualifica come partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente o come condivisione dell’intenzione immorale dell’agente principale. Questa cooperazione non può mai essere giustificata né invocando il rispetto della libertà altrui, né facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede: per gli atti che ciascuno personalmente compie esiste, infatti, una responsabilità morale a cui nessuno può mai sottrarsi e sulla quale ciascuno sarà giudicato da Dio stesso (cfr. Rm 2, 6; 14, 12) ».285

Nutrizione e idratazione

152. La nutrizione e l’idratazione, anche artificialmente somministrate, rientrano tra le cure di base dovute al morente, quando non risultino troppo gravose o di alcun La loro sospensione non giustificata può avere il significato di un vero e proprio atto eutanasico: « La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si evitano le sofferenze e la morte dovute all’inanizione e alla disidratazione ».286

Uso degli analgesici in malati in fase terminale

153. Tra le cure da somministrare all’ammalato in fase terminale vanno annoverate quelle analgesiche. Per un malato, il dolore negli ultimi momenti di vita, può assumere un significato spirituale e, in partico- lare per il cristiano, può essere accolto come « partecipazione alla passione » e « unione al sacrificio redentore di Cristo » (Col 1, 24), e per questo può rifiutare la somministrazione di terapie analgesiche.287 Ciò, però, non costituisce una norma generale. Non si può infatti imporre a tutti un comportamento eroico.288 Molte volte, infatti, il dolore può diminuire la for- za fisica e morale della persona.289 Una corretta assistenza umana e cristiana prevede, quando necessario nella terapia, con il consenso dell’ammalato, l’uso di farmaci che siano atti a lenire o a sopprimere il dolore, anche se ne possono derivare torpore o minore lucidità289.

154. Nella fase terminale, per lenire i dolori può es- sere necessario l’uso di analgesici anche a dosaggi elevati; questo comporta il rischio di effetti collaterali e complicazioni, compresa l’anticipazione della morte. È necessario, quindi, che vengano prescritti in modo prudente e lege artis. « L’uso degli analgesici per alleviare le sofferenze al moribondo, anche con il rischio di ab- breviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile ».290 In tal caso « la morte non è voluta o ricercata in alcun modo, benché se ne corra il rischio per una ragionevole causa: si intende semplicemente lenire il dolore in maniera efficace, usando allo scopo quegli analgesici di cui la medicina dispone ».291
155. Si dà inoltre l’eventualità di causare con gli analgesici e i narcotici la soppressione della coscienza nel morente. Tale impiego merita una particolare considerazione.292 In presenza di dolori insopportabili, refrattari alle terapie analgesiche usuali, in prossimità del momento della morte, o nella fondata previsione di una particola- re crisi nel momento della morte, una seria indicazione clinica può comportare, con il consenso dell’ammalato, la somministrazione di farmaci soppressivi della coscienza. Questa sedazione palliativa profonda in fase ter- minale, clinicamente motivata, può essere moralmente accettabile a condizione che sia fatta con il consenso dell’ammalato, che sia data una opportuna informazione ai familiari, che sia esclusa ogni intenzionalità eutanasica e che il malato abbia potuto soddisfare i suoi doveri morali, familiari e religiosi: « avvicinandosi alla morte, gli uomini devono essere in grado di poter soddisfare ai loro obblighi morali e familiari e soprattutto devono potersi preparare con piena coscienza all’in- contro definitivo con Dio ».293 Pertanto, « “non si deve privare il moribondo della coscienza di sé senza grave motivo” ».294

La sedazione palliativa nelle fasi prossime al momento della morte, deve essere attuata secondo corretti protocolli etici e sottoposta ad un continuo monitoraggio, non deve comportare la sospensione delle cure di base.