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Pronunciamento non magisteriale

16 Febbraio 2017

Documento Dicasteriale

Verità al morente

156. Vi è il diritto della persona ad essere informata sul proprio stato di salute. Questo diritto non decade neppure in caso di una diagnosi e prognosi infausta, e implica da parte del medico il dovere di una comunica- zione rispettosa delle condizioni dell’ammalato. La prospettiva della morte rende difficile e drammatica la notificazione, ma non esime dalla veracità. La comunicazione tra il morente e coloro che lo assistono non si può stabilire nella finzione. Questa non costituisce mai una possibilità umana per il morente, e non contribuisce all’umanizzazione del morire.A tale informazione sono connesse importanti e indelegabili responsabilità. L’avvicinarsi della morte porta con sé la responsabilità di compiere determinati doveri riguardanti i propri rapporti con la famiglia, la sistemazione di eventuali questioni professionali, la risoluzione di pendenze verso terzi. Pertanto, non si dovrebbe lasciare la persona nell’ignoranza delle proprie reali condizioni cliniche nell’ora decisiva della sua vita.

157. Il dovere della verità all’ammalato nella fase ter- minale esige nel personale sanitario discernimento e tatto. Non può consistere in una comunicazione distaccata e indifferente. La verità non va sottaciuta, ma non va neppure semplicemente notificata: essa va comunicata nell’amore e nella carità. Si tratta di stabilire con lui quel rapporto di fiducia, di accoglienza e di dialogo, che sa trovare i momenti e le parole. C’è un dire che sa discernere e rispettare i tempi dell’ammalato, ritmandosi ad essi. C’è un parlare che sa cogliere le sue domande ed anche suscitarle, per indirizzarle gradualmente alla conoscenza del suo stato di vita. Chi cerca di essere pre- sente all’ammalato e sensibile alla sua sorte sa trovare le parole e le risposte, che consentono di comunicare nella verità e nella carità (cfr. Ef 4, 15).
158. « Ogni singolo caso ha le sue esigenze, in funzione della sensibilità e delle capacità di ciascuno, delle relazioni col malato e del suo stato; in previsione di sue eventuali reazioni (ribellione, depressione, rassegnazione, ecc.), ci si preparerà ad affrontarle con calma e con tatto ».295 L’importante non consiste solo nell’esattezza di ciò che si dice, ma nella relazione solidale con l’ammalato. Non si tratta solo di trasmettere dati clinici, ma di comunicare significati.
In questa relazione, la prospettiva della morte non si presenta come ineluttabile e perde il suo potere angosciante: il paziente non si sente abbandonato e condannato alla morte. La verità che gli viene così comunicata non lo chiude alla speranza, perché lo può far sentire vivo in una relazione di condivisione e di comunione. Egli non è solo con il suo male: si sente compreso nella verità, riconciliato con sé e con gli altri. Egli è se stesso come persona. La sua vita, malgrado tutto, ha un senso, e si dispiega in un orizzonte di significato inverante e trascendente il morire.

Assistenza religiosa al morente

159. La crisi spirituale che l’avvicinarsi della morte comporta, induce la Chiesa a farsi portatrice al morente e ai familiari della luce di speranza, che solo la fede può accendere sul mistero della morte. La morte è un evento che introduce nella vita di Dio, su cui solo la rivela- zione può pronunciare una parola di verità. L’annuncio« pieno di grazia e di verità » (Gv 1, 14) del Vangelo accompagna il cristiano dall’inizio al termine della vita che vince la morte, e apre il morire umano alla speranza più grande.
160. Occorre dunque dare senso evangelico alla morte: annunciare il Vangelo al morente. È un dovere pastorale della comunità ecclesiale in ciascun membro, secondo le responsabilità di ognuno. Un compito particolare compete al cappellano sanitario, chiamato in modo singolare a curare la pastorale dei morenti nell’ambito più ampio di quella dei malati.
Per lui tale compito implica non solo il ruolo da svolgere personalmente accanto ai morenti affidati alle sue cure, ma anche la promozione di questa pastorale, a livello di organizzazione dei servizi religiosi, di formazione e di sensibilizzazione degli operatori sanitari e dei volontari, nonché di coinvolgimento di parenti e amici. L’annuncio del Vangelo al morente ha nella carità, nella preghiera e nei sacramenti le forme espressive.

161. La carità significa quella presenza donante e accogliente, che stabilisce con il morente una comunione fatta di attenzione, di comprensione, di premure, di pazienza, di condivisione, di gratuità. La carità vede in lui, come in nessun altro, il volto del Cristo sofferente e morente che lo chiama all’amore. La carità verso il morente è espressione privilegiata di amore di Dio nel prossimo (cfr. Mt 25, 31-40). Amarlo con carità cristiana è aiutarlo a riconoscere e fargli sentire viva la misteriosa presenza di Dio al suo fianco: nella carità del fratello traspare l’amore del Padre.
162. La carità apre il rapporto con il morente alla preghiera, ossia alla comunione con Dio. In essa egli si rapporta a Dio come Padre che accoglie i figli che ritornano a Lui. Favorire nel morente la preghiera e pregare insieme con lui vuol dire dischiudere al morire gli orizzonti della vita divina. Significa, al tempo stesso, entrare in quella comunione dei santi in cui si riannodano in modo nuovo tutti i rapporti, che la morte sembra irrimediabilmente spezzare.
163. Momento privilegiato della preghiera con il ma- lato nella fase terminale della malattia è la celebrazione dei sacramenti: i segni della presenza salvifica di Dio, « la Penitenza, la santa Unzione e l’Eucaristia, in quanto Viatico, costituiscono, al termine della vita cristiana, “i sacramenti che preparano alla patria” o i sacramenti che concludono il pellegrinaggio terreno ».296
In particolare, il sacramento della riconciliazione o penitenza: nella pace con Dio, il morente è in pace con se stesso e con il prossimo.« A coloro che stanno per lasciare questa vita, la Chiesa offre, oltre all’Unzione degli infermi, l’Eucaristia come Viatico ». Ricevuta nel momento di passaggio, l’Eucaristia, in quanto viatico, è sacramento del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre, e dà al morente la forza di affrontare l’ultima e decisiva tappa del cammino della vita.297 Ne deriva per il cristiano l’importanza per richiederla, e ciò costituisce altresì un dovere della Chiesa amministrarlo. 298 Ministro del viatico è il sacerdote. In sua sostituzione può essere conferito dal diacono o, in sua assenza, da un ministro straordinario dell’Eucaristia.299

164. In questa fede piena di carità l’impotenza umana davanti al mistero della morte non è subita come angosciante e paralizzante. Il cristiano può trovare la speranza, ed in essa la possibilità, malgrado tutto, di vivere e di non subire la morte.

Soppressione della vita

165. L’inviolabilità della vita umana significa e implica, da ultimo, l’illiceità di ogni atto direttamente soppressivo. « L’inviolabilità del diritto alla vita dell’essere umano innocente dal concepimento alla morte è un segno e un’esigenza dell’inviolabilità stessa della persona, alla quale il Creatore ha fatto il dono della vita ».300
166. È per questo che « nessuno può attentare alla vita di un uomo innocente senza opporsi all’amore di Dio per lui, senza violare un diritto fondamentale, irrinunciabile e inalienabile ».301
Questo diritto viene all’uomo immediatamente da Dio (non da altri: i genitori, la società, un’autorità umana). « Quindi non vi è nessun uomo, nessuna autorità umana, nessuna scienza, nessuna “indicazione” medica, eugenica, sociale, economica, morale, che possa esibire o dare un valido titolo giuridico per una diretta deliberata disposizione sopra una vita umana innocente, vale a dire una disposizione che miri alla sua distruzione, sia come a scopo, sia come a mezzo per un altro scopo, per sé forse in nessun modo illecito ».302

In particolare, « niente a nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato, incurabile o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilità, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può legittimamente imporlo né permetterlo. Si tratta, infatti, di una violazione della legge divina, di un’offesa alla dignità della persona umana, di un crimine contro la vita, di un attentato contro l’umanità ».303
167. « Ministri della vita e mai strumenti di morte »,304 agli operatori sanitari « spetta il compito di salvaguardare la vita, di vigilare affinché essa evolva e si sviluppi in tutto l’arco dell’esistenza, nel rispetto del disegno tracciato dal Creatore ».305 Questo ministero vigile di salvaguardia della vita umana riprova l’omicidio come atto moralmente grave, in contraddizione con la missione medica, e contrasta la morte volontaria, il suicidio, come « inaccettabile », dissuadendo chiunque ne fosse tentato.306 Tra le modalità, omicidio o suicidio, di soppressione della vita ve ne sono due l’aborto e l’eutanasia  verso cui questo ministero deve farsi oggi particolar- mente vigile e in certo modo profetico, per il contesto culturale e legislativo assai spesso insensibile, se non proprio favorevole al loro diffondersi.

Eutanasia

168. . La pietà suscitata dal dolore e dalla sofferenza verso malati nella fase terminale della malattia, bambini anormali, malati mentali, anziani, può costituire il contesto nel quale si può fare sempre più forte la tentazione dell’eutanasia, cioè di impadronirsi della morte, procurandola in anticipo e ponendo così fine “dolcemente” alla vita propria o altrui.307
« Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. “L’eutanasia si situa dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati” ».308

In realtà, ciò che potrebbe sembrare logico e umano, visto in profondità si presenta assurdo e disumano. Siamo di fronte a uno dei sintomi più allarmanti del- la cultura della morte che, soprattutto nelle società più sviluppate, fa apparire troppo oneroso e insopportabile l’onere assistenziale che persone disabili e debilitate richiedono. Società quasi esclusivamente organizzate sulla base di criteri di efficienza produttiva, secondo i quali una vita irrimediabilmente inabile non ha più alcun valore.309 Ma ogni uomo, sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cfr. Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana e il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario.310 L’eutanasia, pertanto, è un atto omicida, che nessun fine può legittimare.311

169. Il personale medico e gli altri operatori sanitari fedeli al compito di « essere sempre al servizio della vita e assisterla sino alla fine »312  non possono prestarsi a nessuna pratica eutanasica neppure su richiesta dell’interessato, tanto meno dei suoi Non  esiste, infatti, un diritto a disporre arbitrariamente della propria vita, per cui nessun operatore sanitario può farsi tutore esecutivo di un diritto inesistente.
170. « Le suppliche dei malati molto gravi, che talvolta invocano la morte, non devono essere intese come espressione di una vera volontà di eutanasia; esse infatti sono quasi sempre richieste angosciate di aiuto e di affetto. Oltre le cure mediche, ciò di cui l’ammalato ha bisogno è l’amore, il calore umano e soprannaturale, col quale possono e debbono circondarlo tutti coloro che gli sono vicini, genitori e figli, medici e altri operatori sanitari ».313
L’ammalato, che si sente circondato da presenza amorevole umana e cristiana, non cade nella depressione e nell’angoscia di chi, invece, si sente abbandonato al suo destino di sofferenza e di morte, e chiede di porvi fine. È per questo che l’eutanasia è una sconfitta di chi la teorizza, la decide e la pratica.

171. L’eutanasia è un crimine, al quale gli operatori sanitari, garanti sempre e solo della vita, non possono in alcun modo cooperare.314 Per la scienza medica essa segna « un momento di regresso e di abdicazione, oltreché un’offesa alla dignità del morente e alla sua persona ».315 Il suo profilarsi, come ulteriore approdo di morte dopo l’aborto, deve essere colto come un drammatico appello alla fedeltà effettiva e senza riserve verso la vita.

 

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Introduzione- Ministri della vita -> Generare -> Vivere -> Morire

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Fine vita
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