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Donazione e trapianti di organi e tessuti

109. Il progresso e la diffusione della medicina dei trapianti consente oggi la cura e la guarigione di molti malati che fino a poco tempo fa potevano soltanto attendersi la morte o, nel migliore dei casi, un’esistenza dolorosa e limitata.218
La donazione e il trapianto di organi sono espressioni significative del servizio alla vita e della solidarietà che lega fra loro gli esseri umani e sono « una forma peculiare di testimonianza della carità ».219 Per tali motivi, essi hanno valore morale che ne legittima la prassi medica.
110. L’intervento medico nei trapianti « è inseparabile da un atto umano di donazione ».220 Nella donazione di organi, infatti, il donatore consente generosamente e liberalmente al prelievo.
Nel prelievo da vivente il consenso deve essere dato personalmente dal soggetto capace di esprimerlo.221
Speciale attenzione deve essere prestata ai soggetti in condizione di particolare vulnerabilità. Nel prelievo da cadavere il consenso deve essere stato espresso in qualche modo in vita dal donatore o posto in essere da chi lo possa legittimamente rappresentare. La possibilità, consentita dal progresso biomedico, di « proiettare oltre la morte la loro vocazione all’amore » deve indurre le persone ad « offrire in vita una parte del proprio corpo, offerta che diverrà effettiva solo dopo la morte ». È questo « un atto di grande amore, quell’amore che dà la vita per gli altri ».222
111. Iscrivendosi in questa « economia » oblativa dell’amore, lo stesso atto medico del trapianto, e persi- no la semplice trasfusione di sangue, « non può essere separato dall’atto di oblazione del donatore, dall’amore che dà la vita ».223 Qui l’operatore sanitario « diventa mediatore di qualcosa di particolarmente significativo, il dono di sé compiuto da una persona perfino dopo la morte
affinché un altro possa vivere ».224« La via maestra da seguire, fino a quando la scienza giunga a scoprire eventuali forme nuove e più progredite di terapia, dovrà essere la formazione e la diffusione di una cultura della solidarietà che si apra a tutti e non escluda nessuno ».225

112. I trapianti autoplastici, in cui il prelievo e il trapianto avvengono sulla stessa persona, sono legittimati dal principio di totalità, in virtù del quale è possibile disporre di una parte per il bene integrale dell’organismo. Una forma particolare di autotrapianto è quella di tessuto germinale ovarico prelevato da un soggetto prima di terapie molto aggressive, in specie chemioterapiche e radianti, e potenzialmente dannose per la futura fertilità. La conservazione e il trasferimento ortotopico di tessuto ovarico autologo sono in linea di principio accettabili.
I trapianti omoplastici, in cui cioè il prelievo è operato su individuo della stessa specie del ricevente, sono legittimati dal principio di solidarietà che unisce gli esseri umani. « Con l’avvento del trapianto di organi, iniziato con le trasfusioni di sangue, l’uomo ha trova- to il modo di offrire parte di sé, del suo sangue e del suo corpo, perché altri continuino a vivere. Grazie alla scienza e alla formazione professionale e alla dedizione di medici e operatori sanitari … si presentano nuove e meravigliose sfide. Siamo sfidati ad amare il nostro prossimo in modi nuovi; in termini evangelici, ad amare “sino alla fine” (Gv 13, 1), anche se entro certi limiti che non possono essere superati, limiti posti dalla stessa natura umana ».226

113. Il prelievo degli organi nei trapianti omoplastici può avvenire da donatore vivo o da cadavere. Nel primo caso, il prelievo è legittimo a condizione che « i danni e i rischi fisici e psichici in cui incorre il donatore sono proporzionati al bene che si cerca per il destinatario. È moralmente inammissibile provocare direttamente la mutilazione invalidante o la morte di un essere umano, sia pure per ritardare il decesso di altre persone ».227
Nel secondo caso, non siamo più in presenza di un vivente ma di un cadavere. Questo è sempre da rispettare come cadavere umano, ma non ha più la dignità di soggetto e il valore di fine di una persona vivente. « Il cadavere non è più, nel senso proprio della parola, un soggetto di diritto, perché è privo della personalità che sola può essere soggetto di diritto ». Pertanto « destinarlo a fini utili, moralmente ineccepibili e anche elevati » è una decisione da « non condannare ma da giustificare positivamente ».228 Tale destinazione richiede comunque o il consenso della persona defunta dato prima della morte o la non opposizione degli aventi diritto. La donazione gratuita di organi dopo la morte è legittima.229

Bisogna, però, avere certezza di essere in presenza di un cadavere, per evitare che sia il prelievo di organi a provocare o anche solo anticipare la morte. Il prelievo di organi da cadavere è legittimo a seguito di una dia- gnosi di morte certa del donatore. Da qui il dovere di « prendere misure perché un cadavere non sia considerato e trattato come tale prima che la morte non sia stata debitamente constatata ».230

Accertamento della morte

114. Il prelievo di organi vitali da cadavere pone in modo nuovo il problema della diagnosi certa dello stato di morte. La morte è percepita dall’uomo come una decomposizione, una dissoluzione, una rottura,231 in quanto « consiste nella totale disintegrazione di quel complesso unitario e integrato che la persona in se stessa è ».232 « Certo, questa distruzione non colpisce l’essere umano intero. La fede cristiana – e non solo essa – afferma la persistenza, oltre la morte, del principio spirituale dell’uomo ».233« La morte della persona, […] è un evento che non può essere direttamente individuato da nessuna tecnica scientifica o metodica empirica. Ma l’esperienza umana insegna che l’avvenuta morte di un individuo produce inevitabilmente dei segni biologici, che si è imparato a riconoscere in maniera sempre più approfondita e dettagliata. I cosiddetti “criteri di accertamento della morte”, che la medicina oggi utilizza, non sono pertanto da intendere come la percezione tecnico-scientifica del momento puntuale della morte della persona, ma come una modalità sicura, offerta dalla scienza, per rilevare i segni biologici della già avvenuta morte della persona ».234

Dal punto di vista biomedico la morte consiste nel- la totale perdita di integrazione di quel complesso unitario che è l’organismo umano. La constatazione e interpretazione medica dei segni di questa disintegrazione non è di pertinenza della morale, ma della scienza. Spetta propriamente alla medicina determinare nel modo più esatto possibile i segni clinici della morte. Una volta acquisita questa determinazione, alla sua luce si posso- no affrontare le questioni e i conflitti morali suscitati dalle nuove tecnologie e dalle nuove possibilità terapeutiche.

115. « È ben noto che, da qualche tempo, diverse motivazioni scientifiche per l’accertamento della morte hanno spostato l’accento dai tradizionali segni cardio-respiratori al cosiddetto criterio “neurologico”, vale a dire alla rilevazione, secondo parametri ben individuati e condivisi dalla comunità scientifica internazionale, della cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica (cervello, cervelletto e tronco encefalico), in quanto segno della perduta capacità di integra- zione dell’organismo individuale come tale. Di fronte agli odierni parametri di accertamento della morte, – sia che ci si riferisca ai segni “encefalici”, sia che si faccia ricorso ai più tradizionali segni cardio-respiratori , la Chiesa non fa opzioni scientifiche, ma si limita ad esercitare la responsabilità evangelica di confrontare i dati offerti dalla scienza medica con una concezione unitaria della persona secondo la prospettiva cristiana, evidenziando assonanze ed eventuali contraddizioni, che potrebbero mettere a repentaglio il rispetto della dignità umana ».235
Se i dati della scienza arrivano a offrire basi per affermare che il criterio della morte cerebrale totale e i segni relativi indicano con sicurezza che si è persa irreversibilmente l’unità dell’organismo, allora si può affermare che il criterio neurologico, « se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione antropologica. Di conseguenza, l’operatore sanitario, che abbia la responsabilità professionale di un tale accertamento, può basarsi su di essi per raggiungere, caso per caso, quel grado di sicurezza nel giudizio etico che la dottrina morale qualifica col termine di “certezza morale”, certezza necessaria e sufficiente per poter agire in maniera eticamente corretta.

Solo in presenza di tale certezza sarà, pertanto, moralmente legittimo attivare le necessarie procedure tecniche per arrivare all’espianto degli organi da tra- piantare, previo consenso informato del donatore o dei suoi legittimi rappresentanti ».236 « In un ambito come questo, infatti, non può esserci il minimo sospetto di arbitrio e dove la certezza ancora non fosse raggiunta deve prevalere il principio di precauzione. È utile per questo che si incrementi la ricerca e la riflessione inter- disciplinare in modo tale che la stessa opinione pubblica sia messa dinanzi alla più trasparente verità sulle implicanze antropologiche, sociali, etiche e giuridiche della pratica del trapianto ».237