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Questo è il senso veramente soprannaturale ed insieme umano della sofferenza. È soprannaturale, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo, ed è, altresì, profondamente umano, perché in esso l’uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione.

La sofferenza certamente appartiene al mistero dell’uomo. Forse essa non è avvolta quanto lui da questo mistero, che è particolarmente impenetrabile. Il Concilio Vaticano II ha espresso questa verità che «in realtà, solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Infatti…, Cristo che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (100). Se queste parole si riferiscono a tutto ciò che riguarda il mistero dell’uomo, allora certamente si riferiscono in modo particolarissimo all’umana sofferenza. Proprio in questo punto lo «svelare l’uomo all’uomo e fargli nota la sua altissima vocazione» è particolarmente indispensabile. Succede anche – come prova l’esperienza – che ciò sia particolarmente drammatico. Quando però si compie fino in fondo e diventa luce della vita umana, ciò è anche particolarmente beato. «Per Cristo e in Cristo si illumina l’enigma del dolore e della morte» (101).