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Ciò, tuttavia, non vuol dire che la sofferenza in senso psicologico non sia contrassegnata da una specifica «attività». Questa è, infatti, quella molteplice e soggettivamente differenziata «attività» di dolore, di tristezza, di delusione, di abbattimento o, addirittura, di disperazione, a seconda dell’intensità della sofferenza, della sua profondità e, indirettamente, a seconda di tutta la struttura del soggetto sofferente e della sua specifica sensibilità. Al centro di ciò che costituisce la forma psicologica della sofferenza si trova sempre un’esperienza del male, a causa del quale l’uomo soffre.
Così, dunque, la realtà della sofferenza provoca l’interrogativo sull’essenza del male: che cosa è il male?
Questo interrogativo sembra, in un certo senso, inseparabile dal tema della sofferenza. La risposta cristiana ad esso è diversa da quella che viene data da alcune tradizioni culturali e religiose, le quali ritengono che l’esistenza sia un male, dal quale bisogna liberarsi. Il cristianesimo proclama l’essenziale bene dell’esistenza e il bene di ciò che esiste, professa la bontà del Creatore e proclama il bene delle creature. L’uomo soffre a causa del male, che è una certa mancanza, limitazione o distorsione del bene. Si potrebbe dire che l’uomo soffre a motivo di un bene al quale egli non partecipa, dal quale viene, in un certo senso, tagliato fuori, o del quale egli stesso si è privato. Soffre in particolare quando «dovrebbe» aver parte – nell’ordine normale delle cose- a questo bene, e non l’ha.
Così dunque nel concetto cristiano la realtà della sofferenza si spiega per mezzo del male, che è sempre, in qualche modo, in riferimento ad un bene.