Percorsi tematici Novembre 8, 2022

I volontari nella pastorale della salute

«Non c’è testimonianza senza testimoni, come non c’è missione senza missionari»[1].

Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Redemptoris Missio parla di quanti sono chiamati a collaborare per l’unica opera salvifica della Chiesa, attraverso la testimonianza e la missione in una cornice collegiale data da una chiamata comune che passa attraverso l’apostolato.

«I fedeli laici […] appartengono a quel Popolo di Dio che è raffigurato dagli operai della vigna, dei quali parla il Vangelo di Matteo […] L’appello del Signore Gesù “Andate anche voi nella mia vigna” non cessa di risuonare da quel lontano giorno nel corso della storia: è rivolto ad ogni uomo che viene in questo mondo. […] Non c’è posto per l’ozio, tanto è il lavoro che attende tutti nella vigna del Signore»[2].

L’esortazione apostolica “Christifideles Laici” afferma la dimensione vocazionale dei fedeli laici, chiamati da un unico appello all’azione che risuona nel cuore di ciascuno sin dagli inizi del progetto di salvezza di Dio. La presenza del volontario accanto al sofferente è profondamente incoraggiata da questa eco che muove all’incontro e alla testimonianza.

«Nella sua attività messianica in mezzo a Israele, Cristo si è avvicinato incessantemente al mondo dell’umana sofferenza. Passò “facendo del bene”, e questo suo operato riguardava, prima di tutto, i sofferenti e coloro che attendevano aiuto»[3]

La lettera apostolica “Salvifici Doloris” riconosce nella dedizione costante del Cristo alla cura dei sofferenti una dimensione imprescindibile dell’agire pastorale che ha ispirato e continua ad ispirare l’operato di uomini e donne accanto agli ammalati.

«La Chiesa considera “il servizio ai malati come parte integrante della sua missione”. […] Il servizio alla vita diventa così ministero di salvezza, ossia annuncio che attua l’amore redentore di Cristo»[4].

Nella Nuova Carta degli operatori sanitari è ben esplicita la particolare vocazione di quanti compiono un servizio alla vita: «Medici, infermieri, altri operatori della salute, volontari, sono chiamati ad essere l’immagine viva di Cristo e della sua Chiesa nell’amore verso i malati e i sofferenti»[5]. A partire da questa chiamata, la lettera “Samaritanus Bonus” esprime la necessità di una relazione che passa dalla comune fragilità e dalla dipendenza da Dio illuminante il senso stesso del patire.

«è più che mai necessario fare uno sforzo, anche spirituale, per lasciare spazio ad una relazione costruita a partire dal riconoscimento della fragilità e vulnerabilità della persona malata. La debolezza, infatti, ci ricorda la nostra dipendenza da Dio e invita a rispondere nel rispetto dovuto al prossimo. Da qui nasce la responsabilità morale, legata alla consapevolezza di ogni soggetto che si prende cura del malato […] di trovarsi di fronte a un bene fondamentale e inalienabile: la persona umana».

È evidente quanto questa azione pastorale, segno della presenza della Chiesa nei luoghi della sofferenza, necessiti di formazione, nonché di un percorso comune sostenuto dalla grazia dei sacramenti che vivifica l’agire di ciascuna realtà ecclesiale dall’interno, sostenendo l’azione di ciascun volontario rendendola ecclesiale. La presenza di una comunità organizzata all’accoglienza dell’ammalato diviene segno di speranza per lo stesso e balsamo capace di lenire sul piano spirituale e talvolta fisico le sofferenze di qualsiasi percorso di sofferenza.

«La testimonianza cristiana mostra come la speranza sia sempre possibile, anche all’interno della cultura dello scarto. “L’eloquenza della parabola del Buon Samaritano, come anche di tutto il Vangelo, è in particolare questa: l’uomo deve sentirsi come chiamato in prima persona a testimoniare l’amore nella sofferenza”»[6].

[1] Redemptoris Missio 61

[2] Christifideles Laici 1-3

[3] Salvifici Doloris 16

[4] Nuova Carta degli Operatori Sanitari 9

[5] Christifideles Laici 63

[6] Samaritanus Bonus